Mani grandi, dal palmo quadrato, dita non molto lunghe, unghie corte, curatissime e senza smalto, non si addice a un medico.
Le giunture un pò nodose, colpa dell'artrite.
Mani non molto femminili ma belle a modo loro.
Le mani di mia nonna.
Classe 1910.
Laurea in medicina nel 1933, solo due donne in tutta la facoltà di colleghi maschi.
E lei orgogliosa e fiera del suo camice immacolato, stetoscopio al collo, sotto l'elegante soprabito nero e i guanti di pelle rigorosamente in tinta nei suoi giri tra i padiglioni del policlinico Umberto I.
Un maschio mancato.
Un medico con i fiocchi compresso dentro un corpo di donna cresciuto nei dogmi dell'educazione delle signorine di buona famiglia: ricamo, cucito, economia domestica, votate ad esser mogli e madri prima ancora che donne.
E lei, invece, scalpitava per seguire un destino diverso dallo stare in casa.
Giunse ad un compromesso: matrimonio con un collega di facoltà, due figli piccoli e una condotta medica nei dintorni di Roma, ereditata dal marito partito volontario per l'Africa.
Delle incombenze domestiche se ne occupava qualcun'altro.
Cucinare? Non sia mai.
Lei girava per le campagne a visitare i pazienti.
Ogni tanto qualche bombardamento, ogni tanto qualche notizia più pesante di altre.
Speranze, ristrettezze, pragmatismo.
Bella nelle foto in bianco e nero, a cavallo, con l'espressione forte della giovane donna.
Bella nelle foto più recenti, con la morbidezza della donna matura.
Bella per me, sempre, anche nelle foto di una bimba a me sconosciuta con un
fiocco tra i capelli castani e le calzine corte.
E delle incombenze domestiche se ne occupò nel tempo sempre qualcun'altro, anche finita la guerra e finita l'emergenza.
Finchè il destino e la separazione del figlio le portò in regalo una bimba di tre anni da crescere e con cui crescere insieme.
Forse quella figlia che non era mai arrivata.
Dopo una vita passata a fare tutt'altro, mia nonna si reinventò casalinga e cuoca.
Fece un grande sforzo, lo fece con la forza del cuore che ti porta a coccolare una piccola per cui sei diventata braccia che avvolgono, risate che divertono, carezze che consolano, occhi che spronano.
Se hai un cuore grande ci riesci.
Riesci a regalare abitudini, ricordi, sensazioni che poi, da grandi, si passano ad un figlio tuo in una catena continua di affetto e memorie.
Ricordi di una scodella di pasta col tonno messa in caldo sulla pentola, mangiata voracemente al ritorno da scuola mentre si raccontavano i mille e uno grandi e minimi episodi a lei che sferruzzava lì accanto.
Ricordi delle domeniche passate in casa da sole noi due, televisione, chiacchere, pasta pasticciata al forno mai uguale alla volta precedente ma sempre buonissima.
Ricordi di quando ho scoperto che il mio e suo nome uniti davano vita ad una parola: "SeRenata" e ne andavo orgogliosa.
Ricordi dei preparativi frenetici per il Natale, il pangiallo che veniva sempre troppo croccante secondo lei, invece era perfetto.
E la crema pasticcera fatta ad occhio, un rosso, due cucchiai di zucchero tre rasi di farina.
Lei perennemente a dieta, ipertensione, si, glicemia, e, diamine, sono medico, lo saprò ben io, no?!
Ma come si fa a resistere ad una salsiccia fresca spalmata su una fetta alta di pane di genzano...
Vent'anni di vita insieme così.
E se n'è andata in tre giorni.
"Ninnì, non mi sento bene: andiamo al Pronto Soccorso".
Non c'era più niente, poi.
Mi ha abbandonato da sola nel Mondo.
Non gliel'ho perdonato per anni.
Anni passati a ignorare i ricordi.
Anni passati a odiarla, ricacciando qualsiasi legame con quella Nostra vita a due
in un punto remoto del mio cuore.
Come hai potuto andartene lasciandomi in balia di altre persone, di altri affetti che non fosse il tuo, di una vita posticcia.
E lei, dovunque sia, ha aspettato, con calma, come faceva quando da piccola mi interstardivo e mettevo il muso per poi tornare sui miei passi e da lei, lì, ferma ad attendermi con un sorriso.
Lei, colpevole solo di essere morta, lo sapeva che non poteva ragionare con una ventenne arrabbiata e sola e quindi ha aspettato.
Che il tempo e la mia nuova esistenza mi renderessero più morbida, meno guardinga, meno cattiva.
E pian piano lei, dovunque sia, ha fatto si che i ricordi mi assalissero vigliaccamente alle spalle, quando meno me l'aspettavo.
L'ha fatto srotolando il gomitolo dei profumi, sapori, sensazioni di quella cucina dove passavamo tanto tempo insieme.
Improvvisamente mi si riaffacciava alla memoria "quel" sapore o "quella" pietanza.
Improvvisamente sentivo pressante l'esigenza di riassaporarli.
E ricostruivo, andavo per tentativi, provavo, assaggiavo, modificavo e riassaggiavo.
Non mi ero mai preoccupata, a suo tempo, di imparare, "tanto c'è nonna".
Quelli che ho ritrovato sono dei simulacri dei sapori originali, però significano molto per me.
Sono le ricette del mio Passato, della storia di una ragazzina tenuta per mano da una donna anziana ma piena di vita che amava il Presente e il Futuro.
Sono riuscita a risalire alla sua ricetta del sugo di tonno, del minestrone alla genovese, dei pomodori al riso.
Sulle fettine sottili impanate ci sto ancora lavorando ma ci riuscirò.
E se non ce la farò io, ci riuscirà il suo bisnipote, mio figlio, forse, un giorno.
Lei, dovunque sia, sono sicura che ne è soddisfatta.
Ma sapeva che prima o poi avremmo fatto pace.
Si che lo sapeva.
"Ninnì, stasera per cena ci mangiamo il caffellatte con la ricotta?"
Le giunture un pò nodose, colpa dell'artrite.
Mani non molto femminili ma belle a modo loro.
Le mani di mia nonna.
Classe 1910.
Laurea in medicina nel 1933, solo due donne in tutta la facoltà di colleghi maschi.
E lei orgogliosa e fiera del suo camice immacolato, stetoscopio al collo, sotto l'elegante soprabito nero e i guanti di pelle rigorosamente in tinta nei suoi giri tra i padiglioni del policlinico Umberto I.
Un maschio mancato.
Un medico con i fiocchi compresso dentro un corpo di donna cresciuto nei dogmi dell'educazione delle signorine di buona famiglia: ricamo, cucito, economia domestica, votate ad esser mogli e madri prima ancora che donne.
E lei, invece, scalpitava per seguire un destino diverso dallo stare in casa.
Giunse ad un compromesso: matrimonio con un collega di facoltà, due figli piccoli e una condotta medica nei dintorni di Roma, ereditata dal marito partito volontario per l'Africa.
Delle incombenze domestiche se ne occupava qualcun'altro.
Cucinare? Non sia mai.
Lei girava per le campagne a visitare i pazienti.
Ogni tanto qualche bombardamento, ogni tanto qualche notizia più pesante di altre.
Speranze, ristrettezze, pragmatismo.
Bella nelle foto in bianco e nero, a cavallo, con l'espressione forte della giovane donna.
Bella nelle foto più recenti, con la morbidezza della donna matura.
Bella per me, sempre, anche nelle foto di una bimba a me sconosciuta con un
fiocco tra i capelli castani e le calzine corte.
E delle incombenze domestiche se ne occupò nel tempo sempre qualcun'altro, anche finita la guerra e finita l'emergenza.
Finchè il destino e la separazione del figlio le portò in regalo una bimba di tre anni da crescere e con cui crescere insieme.
Forse quella figlia che non era mai arrivata.
Dopo una vita passata a fare tutt'altro, mia nonna si reinventò casalinga e cuoca.
Fece un grande sforzo, lo fece con la forza del cuore che ti porta a coccolare una piccola per cui sei diventata braccia che avvolgono, risate che divertono, carezze che consolano, occhi che spronano.
Se hai un cuore grande ci riesci.
Riesci a regalare abitudini, ricordi, sensazioni che poi, da grandi, si passano ad un figlio tuo in una catena continua di affetto e memorie.
Ricordi di una scodella di pasta col tonno messa in caldo sulla pentola, mangiata voracemente al ritorno da scuola mentre si raccontavano i mille e uno grandi e minimi episodi a lei che sferruzzava lì accanto.
Ricordi delle domeniche passate in casa da sole noi due, televisione, chiacchere, pasta pasticciata al forno mai uguale alla volta precedente ma sempre buonissima.
Ricordi di quando ho scoperto che il mio e suo nome uniti davano vita ad una parola: "SeRenata" e ne andavo orgogliosa.
Ricordi dei preparativi frenetici per il Natale, il pangiallo che veniva sempre troppo croccante secondo lei, invece era perfetto.
E la crema pasticcera fatta ad occhio, un rosso, due cucchiai di zucchero tre rasi di farina.
Lei perennemente a dieta, ipertensione, si, glicemia, e, diamine, sono medico, lo saprò ben io, no?!
Ma come si fa a resistere ad una salsiccia fresca spalmata su una fetta alta di pane di genzano...
Vent'anni di vita insieme così.
E se n'è andata in tre giorni.
"Ninnì, non mi sento bene: andiamo al Pronto Soccorso".
Non c'era più niente, poi.
Mi ha abbandonato da sola nel Mondo.
Non gliel'ho perdonato per anni.
Anni passati a ignorare i ricordi.
Anni passati a odiarla, ricacciando qualsiasi legame con quella Nostra vita a due
in un punto remoto del mio cuore.
Come hai potuto andartene lasciandomi in balia di altre persone, di altri affetti che non fosse il tuo, di una vita posticcia.
E lei, dovunque sia, ha aspettato, con calma, come faceva quando da piccola mi interstardivo e mettevo il muso per poi tornare sui miei passi e da lei, lì, ferma ad attendermi con un sorriso.
Lei, colpevole solo di essere morta, lo sapeva che non poteva ragionare con una ventenne arrabbiata e sola e quindi ha aspettato.
Che il tempo e la mia nuova esistenza mi renderessero più morbida, meno guardinga, meno cattiva.
E pian piano lei, dovunque sia, ha fatto si che i ricordi mi assalissero vigliaccamente alle spalle, quando meno me l'aspettavo.
L'ha fatto srotolando il gomitolo dei profumi, sapori, sensazioni di quella cucina dove passavamo tanto tempo insieme.
Improvvisamente mi si riaffacciava alla memoria "quel" sapore o "quella" pietanza.
Improvvisamente sentivo pressante l'esigenza di riassaporarli.
E ricostruivo, andavo per tentativi, provavo, assaggiavo, modificavo e riassaggiavo.
Non mi ero mai preoccupata, a suo tempo, di imparare, "tanto c'è nonna".
Quelli che ho ritrovato sono dei simulacri dei sapori originali, però significano molto per me.
Sono le ricette del mio Passato, della storia di una ragazzina tenuta per mano da una donna anziana ma piena di vita che amava il Presente e il Futuro.
Sono riuscita a risalire alla sua ricetta del sugo di tonno, del minestrone alla genovese, dei pomodori al riso.
Sulle fettine sottili impanate ci sto ancora lavorando ma ci riuscirò.
E se non ce la farò io, ci riuscirà il suo bisnipote, mio figlio, forse, un giorno.
Lei, dovunque sia, sono sicura che ne è soddisfatta.
Ma sapeva che prima o poi avremmo fatto pace.
Si che lo sapeva.
"Ninnì, stasera per cena ci mangiamo il caffellatte con la ricotta?"
24 commenti:
sere... non me lo dovevi fare... sto piangendo...
Ummamma, mi sono venuti i brividi
Come Graziella...
Però con le lacrime agli occhi ti dico due piccole cose,la prima riguarda te e a quanto sei stata fortunata a poter godere della compagnia di tua nonna,dei suoi abbracci,delle sue coccole,anche culinarie..
Io non le ho mai conosciute e bevo avidamente dalle parole dei miei, i ricordi di come erano e di quello che avrebbero potute essere per me che le porto,nonostante tutto, nel mio cuore .
La seconda è un complimento sincero e spassionato...
Sei una scrittrice vera,una di quelle che ti fanno riemergere le emozioni dal profondo,che rendono tua una storia che non ti appartiene e che ti fanno piangere e ridere e piangere di nuovo solo evocando ricordi e sensazioni.
A quando un libro? Io sono già in libreria a prenotarlo...
Ti abbraccio
Ricordi veri e come tale commoventi.. un bacione Serena.
Bellissimo racconto, sei brava nello scrivere come nel cucinare.
Spero che vinca tu ;)
....è la prima volta che scrivo sul tuo blog ti ho trovato per caso mentre cercavo la ricetta delle polpette di macinato e ricotta ed ho letto la tua storia mi hai molto commossa e nonostante abbia partecipato anche io al concorso di sigrid spero che vinga tu xchè te lo meriti.
Ciao i.
Bellissimo...bello il ricordo e la descrizione che ne hai fatto! Spero tu vinca davvero
Un bacio
Fra
Questo racconto è tra le cose più belle e delicate che ho letto negli ultimi mesi. Fatto di semplicità e quotidianità, la descrizione di tua nonna da giovane ricorda molto la mia, che mi manca da morire ogni giorno. Grazie per aver condiviso con noi un pezzo così intimo della tua storia, te ne sono davvero riconoscente. Un abbraccio grande
passo di qui e leggo queste righe scritte con il cuore in mano, il tuo, e con il cuore in gola, il mio. Parole schiette, che sono sicura ti siano uscite di getto, frutto di emozioni e ricordi e di quel non accettare l'abbandono causato dalla morte. Per anni ho provato lo stesso nei confronti del mio nonno materno, che mi ha praticamente cresciuta mentre i miei lavoravano. Se ne è andato per primo, troppo presto, lasciandomi con il vuoto di una vita senza la sua presenza..spero che mi stia guardando dovunque sia, dato che non ho il conforto della fede.
Ti accarezzo perchè quello che hai scritto non richiede gesti forti, ma solo un delicato passaggio in punta di piedi nell'intreccio dei tuoi ricordi. Alessia
Buona vita, Ninnì !
Serena, quanta emozione nel tuo racconto...
Sei brava, veramente.
Il tuo racconto sì che mi ha toccato il cuore!
Ti auguro di vincere cara Sere!
Un abbraccione...
Sere:-)
Cucinailoveyou.com
Ricordi immortali, perchè immortale è l'amore... ingrediente imprescindibile delle nostre vite.
Ti abbraccio forte.
Giuli
Incredibile la tua storia, anche se non ti conosco è come se mi appartenesse un pò!
Il coraggio della sincerità premia sempre
Baci
Laura
il tuo racconto mi ha commossa, ci si legge lo stesso amore e la stessa passione che trasmettono le tue preparazioni! spero di cuore che tu vinca il concorso e che questo ti sia da stimolo a scrivere un libro, sei veramente molto brava.
Un abbraccio
Arcona
Che belli questi ricordi...fanno venire la pelle d'oca!!!
Bacioni
Ciao Serena, ho fatto una ricetta dei tuoi muffin, sono buonissimi!
L'ho appena postata sul mio blog,
grazie ;-))
Un bacio!!!
sono un piccolo commento in punta di piedi, ci hai trasmesso delle emozioni molto intense e bellissime, perchè la vita è fatta di perosne speciali
Che dolcezza Serena!!!!! un bacio grande Millo ( non il tuo micio nè...)
Ciao Serena, mi hai fatto commuovere... ho scoperto oggi il tuo blog e mi vergogno quasi di essere entrata in un momento così personale.
Ti aggiungo ai miei preferiti e adesso che ti ho scoperta, ti visiterò molto spesso.
Ciao...
Serena, sono veramente commossa dalle parole dolci dei tuoi ricordi... io che ho perso mia nonna a 4 anni, che l'ho vista andar via in ambulanza e già sapevo alla mia tenera età che non l'avrei più vista.. quale dolore si prova, è indescrivibile. Sono contenta che ti sei riappacificata con lei: io non mi sono mai sentita di arrabbiarmi... è solo che mi manca da morire e chissà, se ci fosse stata lei nella mia vita...non avrei fatto tanti errori...
Un abbraccio virtuale con affetto.
bab
Serena, sei sempre molto brava con le parole, e sai toccare profondamente il cuore di chi ti legge. Ciao tesora, ci si vede sabato
Nivea
Splendido racconto e non ti nascondo di essermi commossa, ambivo molto al premio messo in palio da Sigrit ma dopo aver letto il tuo racconto sarò felice se sarai tu a vincerlo!
Bellissimo racconto. Anche io sto tentando ultimamente di cucinare come faceva mia zia...
Veramente complimenti per come hai saputo raccontare queste sensazioni.
Ale Roma
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